La situazione giuridica prima della sentenza del maggio 2025
La legge n. 40/2004 vieta alle coppie dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (di seguito PMA), riservando tali procedure esclusivamente alle coppie eterosessuali. Questo divieto ha portato, nel tempo, molte coppie omosessuali a recarsi in altri Paesi dove tali tecniche sono accessibili legalmente, come ad esempio Spagna, Olanda, Danimarca e Grecia.
Uno dei problemi principali emersi riguarda il riconoscimento da parte di entrambe le madri al momento della nascita dei figli, poiché entrambe le donne (la madre biologica e la madre intenzionale) desiderano essere registrate come madri nell’atto di nascita. Prima del 2014, la situazione era confusa: molte coppie tentavano l’adozione senza successo e altre si trovavano senza alcuna protezione legale, poiché solo la madre partoriente era riconosciuta come genitrice.
Il 30 luglio 2014, una sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma ha riconosciuto per la prima volta il diritto della madre intenzionale di adottare il figlio della sua compagna, madre biologica, in base all’art. 44 lett. D della L. 184/1983, noto come stepchild adoption. Da quel momento, i Tribunali per i Minorenni hanno cominciato, seppur con complessità e lungaggini, a consentire l’adozione in casi particolari per le coppie dello stesso sesso.
Nel 2018, si è verificata la cosiddetta “primavera dei Sindaci”, ovvero numerosi Comuni italiani, hanno accettato la dichiarazione di riconoscimento della madre intenzionale e proceduto al riconoscimento formale di entrambe le madri nell’atto di nascita. Nei casi in cui l’Ufficiale di Stato Civile non accettava il riconoscimento, alcune coppie hanno fatto ricorso al Tribunale ordinario, dando origine a numerosi procedimenti a favore del riconoscimento da parte della madre intenzionale.
Tuttavia, questi riconoscimenti hanno subito un arresto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 230/2020 e diverse pronunce della Corte di Cassazione tra il 2020 e il 2022, culminando con una Circolare del Ministero dell’Interno nel 2023 che chiedeva agli Ufficiali di Stato Civile di attenersi alle decisioni della Suprema Corte, interrompendo tali riconoscimenti a favore della stepchild adoption.
La Corte Costituzionale è poi intervenuta nel 2021 con la sentenza n. 32, nella quale nuovamente rivolgeva un monito al legislatore, evidenziando che tale inerzia legislativa non era più tollerabile.
Il caso trattato dalla Corte Costituzionale
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Lucca con l’ordinanza del 26 giugno 2024, facendo riferimento agli articoli 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e all’articolo 250 del codice civile.
Il caso in oggetto riguarda un ricorso presentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, che richiedeva la modifica dell’atto di nascita di un minore, in base all’articolo 95 del D.P.R. del 2 novembre 2000 n. 396, nel quale era stata indicata la dichiarazione di nascita da parte di due donne: una come madre biologica e l’altra come madre intenzionale. La Procura mirava a modificare l’atto di nascita eliminando il nominativo della madre intenzionale.
Le madri e il Sindaco hanno chiesto che la richiesta fosse respinta, mentre il Ministero dell’Interno ha sostenuto l’accoglimento della stessa.
Le novità sul piano pratico
La pronuncia della Consulta è stata accolta con entusiasmo dalla comunità LGBTIQIA+, che ha finalmente potuto tirare un sospiro di sollievo dopo un lungo periodo di disuguaglianze. Tuttavia, a livello pratico, si stanno riscontrando alcune difficoltà nei Comuni nel determinare la formula da utilizzare nell’atto di nascita, dato che la Consulta richiede “l’espresso preventivo consenso”.
Riguardo a questo punto, credo non ci siano dubbi: l’Ufficiale di stato civile deve accettare la dichiarazione di riconoscimento della madre intenzionale, secondo quanto stabilito dal codice civile. Questo significa che le due madri possono riconoscere il nuovo nato contemporaneamente, in conformità con l’art. 250 del codice civile.
Per i bambini nati prima della pronuncia della Consulta, in cui sull’atto di nascita è presente solo la madre biologica, sarà necessario procedere con un riconoscimento successivo da parte della madre intenzionale, annotandolo nell’atto di nascita.
Per quanto riguarda la verifica del consenso prestato dalla genitrice intenzionale al percorso di PMA, si stanno riscontrando diverse linee interpretative.
Alcuni Comuni procedono direttamente al riconoscimento, senza chiedere né la produzione né la visione di alcuna documentazione.
Altri Comuni chiedono di poter visionare il consenso prestato al percorso di PMA e danno atto di tale avvenuto consenso nella dichiarazione di nascita.
Altri ancora allegano alla dichiarazione di nascita il consenso al percorso alla PMA, addirittura chiedendo che il predetto consenso sia consegnato tradotto e in copia autentica.
A fronte del parere richiesto da alcuni Comuni al Ministero dell’Interno, sulle modalità operative, il Ministero, nell’agosto 2025, ha rilevato che il consenso al percorso alla PMA da parte della genitrice intenzionale deve essere documentato e acquisito dall’ufficiale di stato civile.
Personalmente, ritengo che l’Ufficiale di stato civile dovrebbe annotare la dichiarazione di riconoscimento sull’atto di nascita, come avviene per le coppie eterosessuali, senza introdurre ulteriori formule rispetto a quelle già esistenti e senza richiedere documentazione che attesti il consenso della madre intenzionale al trattamento di procreazione medicalmente assistita. La Consulta non menziona un consenso scritto, ma richiede un consenso “espresso” per l’uso delle tecniche di PMA e la condivisione del progetto genitoriale; il desiderio di riconoscere il proprio figlio, con l’approvazione della madre biologica, rappresenta l’adesione e la condivisione di tale progetto.
Inoltre, la Consulta fa riferimento a un riconoscimento automatico della filiazione, che legittima quanto detto finora. È importante ricordare che il riconoscimento comporta diritti e doveri parentali, come stabilito dall’art. 30 della Costituzione, e quindi dovrebbe avvenire con le stesse modalità previste per le coppie eterosessuali.
Infine, sussistono altresì dubbi su come procedere per le coppie di donne che hanno già ottenuto la sentenza di adozione secondo l’art. 44 lett. D della L. 184/1983, che è diventata definitiva e annotata sull’atto di nascita. È giusto e legittimo che queste coppie aspirino a una maggiore tutela per i propri figli. È necessario, però, trovare una soluzione giuridica che consenta all’Ufficiale di stato civile di accogliere la richiesta di riconoscimento della madre intenzionale e di annullare, in qualche modo, la sentenza di adozione in precedenza annotata, poiché il riconoscimento offre una maggiore tutela rispetto alla condizione di genitore adottivo.
Sul punto, alcuni Comuni hanno proceduto ad annotare il riconoscimento successivo della madre intenzionale, anche se la sentenza di adozione era già stata annotata (ad es. Comune di Torino, Cuneo, Genova).
In conclusione, la sentenza n. 68 rappresenta certamente un traguardo importante, che ha contribuito a sanare un grave problema esistente da tempo, ma è necessario che il legislatore intervenga per risolvere definitivamente le criticità rimaste, promuovendo un’equità totale nello status dei figli delle coppie che hanno intrapreso un progetto genitoriale condiviso, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
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