L’Amministrazione di Sostegno è un istituto creato per tutelare i soggetti che, a causa di una infermità ovvero menomazione fisica, ma soprattutto psichica, si trovano nell’impossibilità di provvedere ai loro interessi e necessitano, pertanto, di una persona – c.d. “amministratore di sostegno” – che li assista nel compimento di determinati atti che non sono in grado, anche temporaneamente, di compiere da soli. (Si veda l’articolo L’amministrazione di sostegno: un aiuto per le persone in difficoltà).
Un argomento che ha sempre suscitato – e parzialmente ancora suscita – forti contrasti nella giurisprudenza è quello che concerne la possibilità o meno, per il beneficiario di amministrazione di sostegno, di compiere i c.d. atti personalissimi.
Detti atti personalissimi consistono sostanzialmente:
1. nel poter contrarre matrimonio
2. nel poter redigere testamento
3. nel poter effettuare donazioni.
La giurisprudenza più recente si è ormai orientata nel senso che il beneficiario di amministrazione di sostegno li possa compiere (es: contrarre matrimonio o redigere testamento) a meno che il compimento di detti atti non sia stato espressamente precluso dal giudice tutelare, il quale, ai sensi dell’art. 411 del codice civile, nel decreto di nomina o anche successivamente, può estendere all’amministrazione di sostegno i divieti previsti per la procedura di interdizione (es: art. 85 c.c. “non può contrarre matrimonio l’interdetto per infermità di mente”; art. 591 comma 2 c.c. “sonoincapaci di testare […] gli interdetti per infermità di mente”; art. 774 “non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni”).
Siffatta impostazione, in riferimento alle donazioni, è stata recentemente confermata dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 114 del 2019), la quale ha ritenuto che “il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una successiva revisione – tramite l’estensione, con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411 comma 4 c.c. del divieto previsto per l’interdetto”.
Nel caso esaminato dalla Corte la beneficiaria, aveva espresso la volontà di donare alla figlia, maggiorenne, ormai economicamente indipendente ed in procinto di sposarsi, la somma di diecimila euro per l’acquisto di una cucina.
Il Giudice, dopo aver sentito la signora ed aver verificato che il patrimonio della beneficiaria avesse la capienza necessaria per effettuare la donazione, concludeva ritenendo congrua la donazione.
La Corte è giunta a tale interpretazione sulla base del fatto che sarebbe una vera e propria “emarginazione” dei beneficiari di amministrazione di sostegno, che “non potrebbero mai realizzare la loro volontà di compiere un gesto che consta di bellezza, nobiltà, spontaneità, e che si configura quindi come una forma di pieno sviluppo della loro persona”.
Identici principi valgono in riferimento alla presentazione della domanda di separazione o divorzio, che, per analogia, vanno considerati atti personalissimi.
Pertanto deve sempre ritenersi consentito al beneficiario di amministrazione di sostegno di poter proporre ricorso per separazione o divorzio, con l’assistenza dell’amministratore di sostegno e previa autorizzazione del giudice tutelare.
A riguardo, si è pronunciata la Suprema Corte che, con sentenza 30 giugno 2014 n. 14794, ha affermato che “alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva, deve ammettersi la possibilità per l’amministratore di sostegno, qualora nominato (ed esclusi i casi di conflitto di interessi), di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nella espressione della propria volontà, preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni, anche relativamente al compimento di atti personalissimi, come ritenuto da una giurisprudenza di merito avanzata che lo ha autorizzato, previo intervento del giudice tutelare, a proporre ricorso per separazione personale o per cessazione degli effetti civili del matrimonio del beneficiario”.
Correttamente la Suprema Corte, nella pronuncia di cui sopra, specifica come debbano essere “esclusi i casi di conflitto di interessi”: qualora infatti il ruolo di amministratore di sostegno sia già rivestito magari dal coniuge, evidentemente non potrà essere questi a rappresentare l’altro coniuge in un giudizio (di separazione o divorzio) contro se stesso, ma occorrerà la nomina di un curatore speciale che ne tuteli gli interessi.
Peraltro, possono ravvisarvi anche altre ipotesi di conflitto – ad esempio se amministratore del beneficiario che intende separarsi sia un parente del coniuge – e dunque pare corretto che l’accertamento del conflitto di interessi sia effettuato dal Giudice Tutelare il quale, qualora non ne riscontri gli estremi di sussistenza, ben potrà autorizzare lo stesso amministratore alla promozione del giudizio (Trib. Roma, Sez. I-bis decreto 10 marzo 2009).
Altra tipologia di atto personalissimo è anche il c.d. consenso alle cure mediche – sul punto si confronti l’articolo “Biotestamento o testamento biologico o Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT): tanti modi di esprimere un unico istituto giuridico”, – in relazione al quale, parimenti, si discuteva se esso potesse essere di competenza dell’amministratore, eventualmente previa autorizzazione del giudice, ovvero pertoccasse sempre e solo al beneficiario, non essendo consentito al giudice conferire detto potere all’amministratore.
La recente L. 219 del 2017 ha posto fine alle discussioni sul punto poiché, all’art. 3 comma 4, chiarisce che il consenso informato viene espresso dall’amministratore la cui nomina preveda “l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario”; in altre parole, il beneficiario può esprimere o meno il consenso alle cure mediche, fatto salvo che il giudice abbia espressamente stabilito poteri in ambito medico/sanitario in capo all’amministratore di sostegno.
Avv. Silvia Remmert
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