Il nostro ordinamento riconosce all’articolo 6 del codice civile il diritto al nome, e stabilisce che “ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito” – ricomprendendosi nel nome il binomio prenome e cognome.
Il citato articolo, con l’intento di garantire certezza e stabilità al nome, salvaguardando l’interesse pubblico alla certezza dello status, consente “cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome” nei soli casi e con le formalità previste dalla legge.
Nonostante alcune modifiche, è tutt’ora vigente nel codice civile l’articolo 262, che stabilisce il principio in base al quale il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto, ma se il riconoscimento viene effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume automaticamente il cognome del padre.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 286 del 21 dicembre 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 262 comma I c.c. (cognome del figlio nato fuori dal matrimonio), nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, e dell’articolo 299 comma III c.c. (cognome dell’adottato), nella parte in cui non consente ai coniugi – in caso di adozione compiuta da entrambi – di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione.
Suddetta sentenza ha infatti espressamente affermato l’incompatibilità dell’articolo 262 c.c. “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia” con i valori costituzionali della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio costituisse una irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trovava al tempo alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare.
Concretamente, per risolvere i problemi pratici incontrati dagli ufficiali dello stato civile nell’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale in oggetto, è intervenuta la circolare del Ministero dell’Interno, n. 1 del 2017, che ha stabilito come, essendo l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale immediata, l’ufficiale di stato civile dovrà accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o al momento dell’adozione.
Oggi, pertanto è possibile attribuire al minore – in caso di riconoscimento del figlio da parte di entrambi i genitori – sia il cognome paterno che quello materno, ma non solo quello materno.
In questo ambito si è inserita anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ricondotto il diritto al nome nell’ambito della tutela offerta dall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
La sentenza del 7 gennaio 2014, intervenuta per dirimere il contrasto sorto nel celebre caso Cusan e Fazzo contro Italia, ha stabilito che la trasmissione del cognome paterno si basava esclusivamente su una discriminazione fondata sul sesso dei genitori, in contraddizione col principio di non discriminazione.
Nel caso di specie, la richiesta congiunta dei genitori di iscrivere la figlia Maddalena nel registro di stato civile con il cognome della madre era stata respinta dall’ufficiale dello stato civile, che aveva d’ufficio attribuito il cognome paterno, sulla base della previsione in Italia dell’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli nati in costanza di matrimonio.
Contro tale decisione i coniugi hanno presentato ricorso al Tribunale di Milano, che ha respinto la domanda, affermando che, nonostante l’assenza di una esplicita disposizione normativa in materia, la scelta di attribuire il cognome paterno ai figli nati in costanza di matrimonio costituiva un principio radicato nella coscienza sociale e storica italiana.
Dopo aver proposto ricorso sia presso la Corte d’Appello sia presso la Corte di Cassazione invano, i coniugi, fermi nella loro volontà di attribuire alla figlia il solo cognome materno, si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Corte di Strasburgo ha accolto il ricorso della coppia, riscontrando una violazione del principio di non discriminazione e della parità dei sessi, posto che “nell’ambito della determinazione del cognome da attribuire al figlio, persone che si trovano in situazioni simili […] rispettivamente padre e madre, sono state trattate in maniera diversa. Infatti, a differenza del padre, la madre non ha potuto ottenere l’attribuzione del suo cognome al neonato, e ciò nonostante il consenso del coniuge” (sent. 7 gennaio 2014, par. 63).
Poiché il rifiuto delle autorità italiane di procedere all’attribuzione del solo cognome materno, come da volontà di entrambi i genitori, ha comportato la violazione dell’art. 8 della Convenzione, l’Italia è stata condannata dalla Corte EDU.
Concludendo, oggi, in Italia, è possibile attribuire alla nascita il cognome del padre e della madre.
Se i genitori non esprimono alcuna volontà in tal senso, il cognome che sarà attribuito, in automatico, sarà quello paterno.
Ciò detto, si segnala che è possibile aggiungere il cognome paterno o materno al figlio minorenne, a seconda dei casi, anche dopo la nascita.
Nel caso ci sia accordo tra i genitori, è possibile ottenerlo rivolgendo la richiesta alla Prefettura competente. In caso, invece, di disaccordo, la situazione sarà più complicata.
In quest’ultima ipotesi, infatti, non è il Prefetto l’autorità competente ad adottare le determinazioni ritenute più idonee a curare l’interesse del figlio, bensì l’autorità giudiziaria ai sensi degli articoli 316 e 320 c.c.
Tale ultimo argomento sarà affrontata in modo più dettagliato in un successivo articolo.
Avv. Giovanni Dionisio
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