La comunione legale tra coniugi è il regime patrimoniale tipico dei coniugi, che si applica automaticamente al momento del matrimonio, salva possibilità per gli sposi di optare per il regime della separazione dei beni. Anche successivamente al momento del matrimonio i coniugi possono sempre stipulare una convenzione matrimoniale, scegliendo il regime di separazione dei beni.
Può accadere che nella confusione, ed emozione, del matrimonio non ci si ricordi quale regime sia stato scelto. Nessun problema, è facile verificarlo con certezza, richiedendo un estratto dell’atto di matrimonio: una scelta diversa dalla comunione legale dei beni risulterebbe infatti ivi annotata.
La comunione legale tra i coniugi è una comunione senza quote, che permane fino allo scioglimento della stessa. Il che significa che i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota e non possono, quindi, disporre della singola quota sul bene ma sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto l’intero bene compreso nella comunione.
Solo con lo scioglimento della comunione legale i beni che ne fanno parte cadono in comunione ordinaria e ogni coniuge diventa titolare della quota (in parti necessariamente eguali) del bene già in comunione legale, potendo liberamente disporne.
E quali beni rientrano nella comunione legale?
Vi rientrano i beni acquistati (insieme o separatamente) dai due coniugi durante il matrimonio, i frutti dei beni di ciascuno dei coniugi, i proventi dell’attività di ciascuno dei coniugi, le aziende gestite da entrambi i coniugi.
E quali sono i beni personali che non rientrano nella comunione legale?
Sono i beni dei quali uno dei coniugi era già proprietario prima del matrimonio, i beni pervenuti a un coniuge successivamente al matrimonio per donazione o successione (salvo che non sia specificato che sono attribuiti dal donante/testatore alla comunione), i beni di uso strettamente personale, i beni che servono all’esercizio della professione di uno dei coniugi, i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, i beni acquistati o scambiati con beni già personali.
Beni di uso strettamente personale sono i vestiti (anche una costosa pelliccia ad esempio), gli accessori (quali un orologio, un gioiello, gli occhiali, ecc.). Si è discusso in passato se una collezione particolare (nel caso di specie di minerali) potesse rientrare tra i beni personali, e in senso favorevole ha deciso la giurisprudenza di merito. E’ tuttavia discutibile che un’eventuale collezione di oggetti, esposta nella casa coniugale, possa rientrare nei beni di uso strettamente personale. Così come dei gioielli e/o dei preziosi acquistati per investimento rientreranno per certo nella comunione.
A titolo di curiosità, si ricorda una risalente pronuncia del Tribunale di Monza che avevo ritenuto ricompresa nella comunione un’autovettura acquistata da un coniuge, e da lui utilizzata in via esclusiva (la moglie non aveva neppure la patente), in quanto il Giudice aveva comunque rilevato che fosse destinata ad esigenze famigliari. La Cassazione ha, tuttavia, ribaltato la pronuncia successiva di conferma della Corte d’Appello, ritenendola invece come bene personale del marito, non rientrante nella comunione.
I beni che servono all’esercizio della professione vengono invece individuati, ad esempio, negli arredi di uno studio e, comunque, in tutta la strumentazione utile allo svolgimento della propria attività (computer, stampanti, attrezzature specifiche, ecc.). Ricordiamo che per esercizio della professione non si intendono esclusivamente le professioni liberali ma qualsiasi attività lavorativa, anche di carattere subordinato.
La giurisprudenza ha anche precisato che l’immobile destinato all’esercizio della professione resta fuori dalla comunione legale mentre cade in comunione quello destinato all’impresa.
Per quanto riguarda le somme ottenute a titolo di risarcimento del danno, una recentissima sentenza della Cassazione, curiosa per l’argomento trattato (Cassazione Civile n. 3313/2020), ha ritenuto che il credito di un testimone di giustizia (pari a oltre 1.758.000,00 Euro) non sia da considerare di natura risarcitoria (ai sensi dell’art. 179 lett. e c.c.) e, pertanto, debba essere assoggettato al regime di comunione legale dei beni. La Corte, in particolare, ha ritenuto non potersi individuare nel detto credito un risarcimento, in quanto quest’ultimo presuppone un danno derivante o dall’inadempimento di un’obbligazione o a seguito di un fatto illecito. Circostanza non rinvenibile nel caso di specie.
Si precisa che, ove i coniugi abbiano optato in sede di matrimonio per il regime di separazione e, successivamente, decidano di passare al regime di comunione legale dei beni, gli eventuali acquisti effettuati prima di cambiare regime rimarranno beni personali.
Analogamente se un coniuge diviene titolare di un bene personale in forza di una divisione, quel bene non entrerà in comunione.
Nella comunione gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti separatamente dai coniugi, mentre per quelli di straordinaria amministrazione occorrerà il consenso di entrambi. Ma uno dei due coniugi, come detto, potrebbe anche disporre dell’intero bene comune e il consenso dell’altro coniuge potrebbe intervenire successivamente per sanare il titolo viziato.
La comunione legale si scioglie per morte (anche presunta) di un coniuge, annullamento del matrimonio, separazione, divorzio, ovvero a seguito della convenzione con cui si si sceglie il regime di separazione dei beni. Anche il fallimento di un coniuge comporta lo scioglimento della comunione legale dei beni.
In particolare, nel caso di separazione giudiziale, l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati segna il momento in cui si scioglie la comunione. Mentre, nel caso di separazione consensuale, lo scioglimento è alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dinanzi al Presidente, purché omologato. Oggi, considerato che a causa della pandemia non si redige più il verbale di separazione (rinunciando per lo più preventivamente i coniugi alla comparizione innanzi al Presidente), si ritiene che lo scioglimento coincida necessariamente con l’omologa delle condizioni contenute nel ricorso congiunto.
La comunione ordinaria, invece, non presuppone il matrimonio dei coniugi ma è la contitolarità di un diritto sul medesimo bene, ovvero presuppone un acquisto del medesimo diritto sul medesimo bene da parte di più persone (anche persone giuridiche), in forza di un atto inter vivos o per successione ereditaria.
La comunione ordinaria è una comunione per quote, ogni contitolare può disporre della propria quota ma non dell’intero bene senza il consenso degli altri contitolari.
Nella comunione ordinaria la gestione spetta all’assemblea della comunione che delibera per maggioranza di quote. In caso di spesa urgente per la conservazione della cosa comune un contitolare può anticipare le spese di gestione e chiederne il rimborso agli altri comunisti.
Per porre fine alla comunione ordinaria occorre procedere con la divisione. Scioglimento che può essere richiesto da ciascun partecipante, ai sensi dell’art. 1111 c.c.
Fine primario della divisione è la conversione del diritto di ciascun condividente (possessore di una quota ideale) in un diritto di proprietà esclusiva su dei beni individuali (cd. divisione in natura).
Anche la comunione ereditaria è una forma di comunione caratterizzata dalla contitolarità dei beni ereditari da parte degli eredi di una persona defunta.
E, non dimentichiamo, infine, la forse meno amata di tutte le possibili specie di comunione, ovvero il condominio!
Avv. Silvia Remmert