Costituisce principio generale dell’ordinamento che la successione per causa di morte determini il trasferimento delle posizioni contrattuali dal defunto ai suoi eredi, con conseguente prosecuzione in capo agli stessi del rapporto contrattuale già costituito dal defunto.
In forza del suddetto principio, si dovrebbe ritenere che alla morte del correntista consegua la prosecuzione del rapporto contrattuale con i suoi eredi, a meno che la soluzione contraria non sia determinata dalla “natura del contratto”.
Nonostante in dottrina vi siano opinioni discordanti, la giurisprudenza è ormai costante nel qualificare il conto corrente bancario come un contratto atipico attraverso il quale si regolano i rapporti tra la banca ed il cliente, al fine di poter gestire il denaro di quest’ultimo.
L’istituto bancario si impegna a svolgere per il cliente il cosiddetto servizio di cassa, consentendogli di prelevare le somme disponibili e di impartire ordini di pagamento in favore di terzi, ed obbligandosi a ricevere gli accrediti in suo favore, quali ad esempio versamenti in contanti, bonifici di terzi, versamenti di assegni e altri titoli emessi da terzi in favore del correntista.
Tuttavia, le incertezze dottrinali sulla qualificazione della natura giuridica del contratto di corrente bancario si ripercuotono inevitabilmente sulla soluzione da adottare nel caso di morte del titolare del conto e di conseguente trasmissione o meno del rapporto contrattuale agli eredi del defunto.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il rapporto di conto corrente bancario, a seguito della morte del correntista, si estingua, mentre l’altra parte sostiene che la morte del titolare non determini lo scioglimento del rapporto, poiché all’originario titolare si sostituiscono i suoi eredi.
In ogni caso, indipendentemente dalla decisione relativa allo scioglimento o meno del contratto, la morte del titolare del conto corrente bancario solleva alcune questioni di carattere pratico ed operativo.
I soggetti interessati all’eredità avranno necessità di conoscere la consistenza dei rapporti bancari intestati al defunto: si tratta di un primo passaggio fondamentale mediante il quale gli eredi stessi vengono a completa conoscenza della situazione patrimoniale del correntista e decidono se adempiere o meno agli obblighi fiscali.
Il diritto di accettare l’eredità implica, infatti, la possibilità per il chiamato di accedere a tutte quelle informazioni, anche relative ai rapporti bancari, necessarie per valutare la convenienza o l’opportunità di accettare (eventualmente con beneficio d’inventario) o rinunciare all’eredità stessa.
Tra gli atti che il chiamato all’eredità può compiere rientrano, pertanto, anche quelli diretti all’acquisizione delle informazioni sui rapporti bancari intrattenuti dal defunto.
Sotto il profilo normativo, la fattispecie inerente all’accesso alla documentazione bancaria è regolata dal legislatore all’art. 119, ultimo comma, del Testo Unico Bancario, che stabilisce espressamente che il cliente, o colui che gli succede a qualunque titolo, ha “diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”.
La prassi bancaria subordina, peraltro, l’accesso alla documentazione bancaria alla preventiva produzione di un atto che attesti la qualità di erede (e non di semplice chiamato all’eredità), e cioè del cosiddetto atto di notorietà o della dichiarazione sostitutiva.
L’atto di notorietà consiste in una affermazione, resa sotto giuramento davanti a due testimoni, in presenza di un pubblico ufficiale – un notaio o il cancelliere del Tribunale – necessaria per costituire prova legale di chi siano gli eredi.
In subordine, si può presentare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, sottoscritta direttamente da uno degli eredi ed autenticata da un pubblico ufficiale (anche presso gli uffici anagrafici comunali).
Unitamente all’atto di notorietà (o alla dichiarazione sostitutiva) può essere richiesta la copia della dichiarazione di successione, vale a dire quel documento di natura fiscale nel quale viene descritto l’intero ammontare del patrimonio del defunto, al fine di calcolarvi le imposte che dovranno essere pagate.
In altre parole, si tratta di un adempimento fiscale obbligatorio – tranne per certi contribuenti esenti – che serve ad informare l’Agenzia delle Entrate sull’ammontare e sulla composizione del patrimonio ereditato per determinare le imposte, che variano a seconda del valore dello stesso e del grado di parentela.
La suddetta dichiarazione deve essere presentata dagli eredi, dai chiamati all’eredità o dai legatari entro un anno dalla data di apertura della successione, che coincide, di solito, con la data del decesso del titolare del conto. Dal 1° gennaio 2019 la procedura può essere effettuata soltanto telematicamente, mediante un modulo reperibile on line.
La facoltà degli eredi di disporre delle somme presenti sul conto corrente del defunto si differenzia, inoltre, a seconda della “intestazione” del conto stesso (da non confondersi con l’ipotesi di semplice delega ad operare sul conto, che si estingue per effetto del decesso del titolare e non influisce sulla devoluzione ereditaria).
Se il conto corrente è intestato unicamente al defunto, gli eredi, dopo aver comunicato immediatamente alla banca il decesso del parente e dopo aver accettato l’eredità, possono disporre liberamente delle somme, una volta che abbiano presentato alla banca la copia autentica della dichiarazione di successione (se richiesto e/o se presentata) e l’atto di notorietà (o la dichiarazione sostitutiva).
Se, invece, il conto corrente è cointestato, come spesso accade nelle coppie, o più in generale nelle famiglie, che vogliono rendere disponibili i servizi bancari a tutti i componenti nel nucleo familiare, rientra nell’eredità soltanto la percentuale del conto di proprietà del defunto.
E’ necessario, peraltro, distinguere tra due tipologie di conto corrente cointestato.
Se il conto cointestato è a firma congiunta, il conto stesso dovrebbe essere bloccato fino alla certa identificazione degli eredi, ed in ogni caso saranno necessarie le firme di tutti (eredi e cointestatario superstite) per poter operare sul conto; se invece il conto cointestato è a firma disgiunta, non essendo necessaria la pluralità di firme, ogni cointestatario potrà disporre liberamente delle cifre depositate sul conto, sia sulla propria quota sia, astrattamente, anche su quella riferibile al defunto.
Ciascuno dei titolari, quindi, potrebbe teoricamente prelevare la propria quota, indipendentemente dal consenso degli altri (ed in questo senso si è più volte espressa la Corte di Cassazione): tuttavia, nella prassi, le banche, al fine di evitare ogni responsabilità, sono orientate a “sbloccare” il conto corrente soltanto in presenza e con l’accordo di tutti gli eredi.
Lo Studio Legale Dionisio che, oltre al diritto di famiglia e delle persone, tratta di frequente questioni successorie, è sempre disponibile per una eventuale consulenza in materia.
Avv. Silvia Remmert
Immagine copyright depositphotos