Chi non è rimasto colpito dalla grancassa mediatica seguita alla Sentenza della Corte di Cassazione delle scorse settimane (16.10.2020 n. 22604) che è tornata ad affrontare il tema della rilevanza della convivenza more uxorio dell’ex coniuge per l’attribuzione dell’assegno divorzile ?
Articoli di giornale, illustri opinionisti e persino il salotto di Porta a Porta sembravano non lasciare dubbi: «La Cassazione ha stabilito che se l’ex coniuge che richiede l’assegno di divorzio ha una convivenza more uxorio, perde il diritto al contributo mensile» .“Era ora!” il commento più gettonato.
Spiacenti di deludere l’entusiasmo della scalpitante maggioranza, ma le cose non stanno propriamente così.
In questa conclamata sentenza, la Corte di Cassazione NON ha enunciato alcuna specifica NUOVA massima o principio.
Proprio così: non ha detto una sola parola nuova, né sviluppato alcun nuovo argomento in tema di convivenza more uxorio.
Si è semplicemente limitata a richiamare principi e argomenti già più volte enunciati dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte, e alla stregua di questi già consolidati princìpi ha riformato una sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria che pareva averli completamente dimenticati.
Quali sono i tratti distintivi che la Cassazione stessa ha da tempo ha elaborato e sancito per individuare una convivenza more uxorio ?
Per essere rilevante (e quindi ostacolare il riconoscimento di un assegno di divorzio) la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge deve essere innanzitutto stabile, consolidata e ufficializzata: vale a dire che deve essere in atto da un tempo significativo, ed essere nota ai più nella cerchia sociale e delle frequentazioni dell’ex coniuge che ne è parte e del suo nuovo compagno/a.
In sostanza, una relazione può dirsi stabile e “ufficiale” quando il loro legame è un dato pacifico nella cerchia di amici, conoscenti, colleghi.
Deve esservi inoltre una quotidiana frequentazione, caratterizzata e rinsaldata da “periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza”.
È quindi decisamente complicato, alla luce di questi ultimi criteri, attribuire rilievo ad una relazione in cui i due partner vivano e lavorino in città diverse.
La ratio di questi parametri è piuttosto evidente: la relazione fra due persone assume i connotati (e il rilievo) della relazione more uxorio solo quando sia provato – o inequivocabilmente presumibile – che fra le Parti vi sia un impegno reciproco di assistenza morale e materiale.
Impegno reciproco che può essere comprovato anche attraverso ulteriori elementi di prova: ad esempio, qualora le parti condividano l’onere delle spese di abitazione o del canone di affitto, oppure facciano a turno la spesa.
La sentenza della Cassazione n. 22604 ha quindi certamente richiamato con forza le proprie precedenti decisioni, con cui da tempo ha fissato i caratteri della convivenza more uxorio, per sancirne il rilievo preclusivo rispetto alla richiesta di assegno divorzile da parte dell’ex coniuge che abbia instaurato un nuovo rapporto stabile.
Censurando la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria che aveva attribuito un assegno divorzile ad un ex coniuge che inequivocabilmente aveva in corso una stabile convivenza more uxorio, gli ‘ermellini’ hanno vibratamente rammentato a tutti i Giudici di merito che situazioni come questa vanno valutate con estremo rigore, per evitare che l’assegno divorzile si tramuti in una rendita di posizione slegata da qualsiasi concreta situazione di effettivo bisogno del coniuge richiedente.
Se caratterizzata dagli indicatori di cui sopra, la convivenza more uxorio può far venire meno il diritto all’assegno divorzile da parte dell’ex-coniuge.
Quello che stupisce non è la decisione della Cassazione, assolutamente in linea con tutti i precedenti.
Stupisce semmai che ne abbiano fatto addirittura una puntata di Porta a Porta…!
Avv. Fabio Deorsola
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