Firmata nel 1950 dal Consiglio d’Europa – principale organizzazione di difesa dei diritti umani del continente – la Convenzione è un trattato internazionale volto a tutelare i diritti e le libertà fondamentali in Europa. Tutti i 47 Paesi che formano il Consiglio d’Europa sono parte della Convenzione, 27 dei quali sono oggi membri dell’Unione europea (UE).
La Convenzione ha istituito nel 1959 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU o CEDU), volta a tutelare le persone dalle violazioni dei diritti umani, assicurando l’applicazione ed il rispetto della Convenzione stessa. Sebbene abbia sede a Strasburgo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non fa parte dell’Unione europea, e non deve essere confusa con la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede in Lussemburgo, che, invece, è un’istituzione effettiva dell’Unione europea che serve a garantire l’applicazione del diritto comunitario.
La CEDU, redatta in inglese e francese, è considerata testo cardine in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, essendo dotata di un meccanismo giurisdizionale permanente che consente ad ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti garantiti, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ogni persona i cui diritti sono stati violati da uno Stato parte può infatti adire la Corte. Il conferimento di specifici diritti alle persone in un contesto internazionale costituisce una importante e preziosa novità. Le sentenze che riscontrano le violazioni sono vincolanti per i Paesi interessati.
Particolarmente significativo, in materia di diritto di famiglia e delle persone, è l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che dispone: « Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.».
L’art. 8 è finalizzato a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. In particolare, agli Stati contraenti è posto il divieto di ingerenza, salvo specifiche espresse deroghe. All’impegno di carattere negativo degli Stati si aggiungono gli obblighi positivi di adottare misure atte a garantire il rispetto effettivo della «vita familiare e della vita privata». È proprio in applicazione di tale principio che sono state pronunciate, tra l’altro, moltissime sentenze in materia di tutela dei rapporti familiari, di garanzia delle relazioni tra genitori e figli.
L’attuale pluralismo dei modelli familiari ha trovato riconoscimento e valorizzazione nella giurisprudenza della Corte Edu, che ha interpretato evolutivamente la nozione di «vita familiare» di cui all’art. 8 Cedu. Numerose sono le decisioni storiche, come la sentenza 7 gennaio 2014 (Cusan e Fazio c. Italia) che ha definito la preclusione all’assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso, in violazione del principio di uguaglianza tra uomo e donna. Su tale tema è infatti poi intervenuta nel 2016 la nostra Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che non consentivano ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.
Altra decisione storica, tra le tante, è quella con cui la CEDU ha imposto all’Italia di riconoscere i diritti delle persone LGBT; nel 2015, con la nota decisione del caso Oliari e altri contro Italia, la Corte ha statuito che il mancato riconoscimento legale delle coppie omoaffettive costituiva violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo. Ne è seguito l’ampio dibattito che ha portato, in Italia, alla legge di Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (L. 20 maggio 2016 n. 76).
Per quanto attiene all’adozione, costante è l’affermazione della giurisprudenza europea secondo cui il diritto di adottare non è in sé garantito dalla Cedu; pur ribadendo l’impossibilità di dedurre dalla Convenzione il diritto di adottare, la Corte ha ricondotto alla sfera della «vita privata» il «diritto al rispetto in relazione alla decisione di avere o non avere figli».
La Corte si è occupata spesso anche dell’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, evidenziando che «il diritto di una coppia di concepire un figlio e di fare uso della procreazione medicalmente assistita a tale scopo è protetto dall’art. 8 Cedu, poichè detta scelta è un’espressione della vita privata e familiare» (Corte Edu, 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria).
Con la pronuncia Costa e Pavan c. Italia, nel 2012, la Corte ha rilevato una violazione dell’art. 8 Cedu nel divieto, risultante dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, di effettuare diagnosi pre-impianto sugli embrioni, al fine di verificare la sussistenza di gravi patologie, ritenendo tale proibizione incoerente rispetto alla possibilità offerta dalla legislazione italiana di interrompere la gravidanza, a fronte del riscontro delle medesime patologie nell’embrione in utero.
Molto discussa è stata anche la decisione del caso Paradiso e Campanelli contro Italia: con sentenza del 27 gennaio 2015, la seconda sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva accertato una violazione dell’art. 8 CEDU nella decisione delle Autorità italiane di allontanare un bambino nato all’estero ricorrendo alla maternità surrogata; tuttavia, il 24 gennaio 2017, la definitiva sentenza della Grande Camera ha ribaltato completamente la precedente pronuncia, concludendo che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 8 CEDU: vista la mancanza di legame biologico tra il bambino e gli aspiranti genitori, la breve durata delle relazioni e l’incertezza giuridica dei legami, il rapporto tra i ricorrenti e il minore era stato ritenuto non riconducibile alla nozione di vita familiare ai sensi dell’art. 8, ma alla diversa nozione di vita privata. L’interferenza della decisione dei giudici italiani non era stata comunque ritenuta in contrasto con l’art. 8, stante che il comportamento dei ricorrenti (cioè il ricorso alla maternità surrogata) aveva tra l’altro violato la legge sull’adozione e il divieto previsto nell’ordinamento italiano circa la riproduzione eterologa, e dunque i provvedimenti adottati nei confronti del bambino legittimamente perseguivano l’obiettivo di «prevenire l’illegalità» e di proteggere «diritti e libertà» altrui.
In generale, le decisioni CEDU costituiscono spesso il punto di partenza di profonde riflessioni sociali e politiche negli Stati, che spesso si evolvono in mutamenti legislativi e sociali; in Italia è possibile rimanere aggiornati circa il contenuto di tali decisioni tramite il sito del Ministero della Giustizia (https://www.giustizia.it), oltre che sul sito della stessa CEDU (https://www.echr.coe.int)
Avv. Cecilia Fraccaroli
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