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L’obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiorenni alla luce della decisione della cassazione civile 17183/2020: una rivoluzione

mantenere i figliNell’estate 2020 forse non tutti hanno prestato attenzione ad una decisione della Corte di Cassazione che, per diversi aspetti, ha rivoluzionato il diritto di famiglia, sia sotto il profilo strettamente giuridico, con riguardo al lavoro degli avvocati e dei tecnici del diritto, sia sotto il profilo sostanziale, con riguardo in concreto agli oneri economici dei genitori – separati, divorziati o non più conviventi – che debbano contribuire a mantenere i figli maggiorenni.

La Corte di Cassazione infatti, ha colto l’occasione per esplicitare una serie di princìpi di diritto riguardanti il mantenimento dei figli maggiorenni, richiamando le più interessanti sentenze precedenti e fornendo poi una nuova interpretazione dell’art. 337-septies del codice civile, riguardante proprio tale obbligo. Si tratta di una decisione profondamente innovativa, che supera diversi precedenti stereotipi, restituendo ai figli stessi centralità e dignità di adulti responsabili. Questa decisione rappresenta un’evoluzione del diritto vivente, che tiene conto del mutamento dei tempi e che richiama espressamente il principio dell’autoresponsabilità.

Anzitutto, la Corte di legittimità ha ribadito la non automaticità dell’obbligo di mantenimento per il figlio maggiorenne, così come già sarebbe espressamente previsto nel codice civile; in secondo luogo, la Corte ha ribadito che l’eventuale assegno dovrebbe preferibilmente avere il figlio quale diretto destinatario. Continuare infatti a far interagire i genitori ai fini del mantenimento di un figlio ormai maggiorenne non fa che accrescere tensioni e malessere, sempre secondo i giudici della Cassazione.

Con riguardo ai presupposti per l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne – che, si è detto, non è più automatico – la Corte ha preso le distanze dalla prassi vigente, sostenendo che le ambizioni di un figlio possono essere ridimensionate in nome della dignità e dell’autonomia del ragazzo stesso, nonché in considerazione dell’obbligo morale di non chiedere ai propri genitori un sacrificio maggiore di quello che si è disposti a fare in prima persona. Con questa decisione si è affrontato l’alibi di molti maggiorenni: non avere trovato una occupazione adeguata alle ambizioni legittimamente coltivate, visti i propri titoli di studio. “La capacità dei giovani di mantenersi – ha affermato esplicitamente la Corte – deve essere presunta oltre i trenta anni, quando una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista, anche economico, salvi comprovati deficit, come peraltro avviene in quasi tutte le parti del mondo”.

Il concetto di “indipendenza economica” per la Corte coincide con quanto necessario per soddisfare le primarie esigenze di vita, e dunque con l’idoneità della retribuzione a consentire un’esistenza dignitosa. Tale conclusione è coerente con gli artt. 1, 4 e 30 Cost.: i primi due che proclamano – addirittura in cima ai principi fondamentali della Repubblica – che essa è “fondata sul lavoro”, mentre il terzo afferma il “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”, in virtù della correlazione tra funzione educativo-formativa ed obbligo di mantenimento.

Con riguardo al figlio maggiorenne dunque, escluso ogni automatismo, il Giudice “può”, ma non “deve” disporre l’obbligo di pagamento di un assegno periodico a carico del genitore che sia in condizione di sostenerlo. Si tratta di un giudizio discrezionale, rimesso al prudente apprezzamento del giudice, sulla base di una valutazione caso per caso.
Ecco, a questo riguardo, la grande novità che riguarda anche gli aspetti processuali della questione: l’inversione dell’onere della prova. Il compito di dimostrare in giudizio l’esistenza delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. L’obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età del figlio; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste solo laddove stabilito dal giudice. Ai fini dell’accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Non è più dunque il genitore obbligato al pagamento ad essere onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni. Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume ora l’idoneità al reddito.

In particolare, l’onere della prova risulterà particolarmente lieve in prossimità della maggiore età appena compiuta, ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il figlio abbia intrapreso, ad esempio, un serio e non pretestuoso studio universitario: già questa circostanza integra la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per avanzare verso l’ingresso nel mondo del lavoro.

Il fondamentale passaggio dell’inversione dell’onere della prova comporta incisive conseguenze sull’esito dei giudizi rispetto al passato: si pensi alla impossibilità per un genitore estraniato dalla vita del figlio di procurarsi anche le più semplici informazioni sulle sue attività – se lavora, se sostiene esami ecc. – a causa della privacy. È facile intuire la difficoltà che si incontrava, sino ad oggi, nel documentare la cessazione dell’obbligo a carico del genitore, il quale non riusciva a procurarsi solide prove dell’avvenuta indipendenza del figlio o della negligenza di esso.

In mancanza della prova del proprio impegno, il figlio maggiorenne non solo non ha più diritto a percepire un contributo al proprio mantenimento, ma anzi, potrebbe essere ritenuto egli stesso inadempiente all’obbligo, che gli impone il codice civile, di contribuire al mantenimento della famiglia finché convive con essa (art. 315 bis c.c.).
È importante altresì, nella valutazione caso per caso, considerare anche l’esistenza di provvidenze e sovvenzioni che lo Stato e le istituzioni formative predispongono in favore degli studenti meritevoli, come ad esempio le borse di studio, che potrebbero sostenere il giovane adulto nell’avvio alla carriera per la quale si sta impegnando.

In dissenso verso precedenti decisioni assistenzialiste, la Corte ha dimostrato dunque grande modernità e adeguatezza ai tempi, invitando i giovani a ridurre eventualmente “le proprie ambizioni adolescenziali” pur di trovare il modo di auto-mantenersi. La Corte sottolinea inoltre che non è ammesso imporre un contributo eccessivamente gravoso a carico dei genitori, non rientrante nelle concrete possibilità economiche di essi.

Infine, secondo la Corte, analoga evoluzione di concetti ha interessato il diritto all’assegnazione della casa familiare: non può più rimanere in essere l’assegnazione in virtù della convivenza solo formale con il figlio che risulti obiettivamente assente a lungo da casa, anche se periodicamente vi rientra.

Avv. Cecilia Fraccaroli

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