Abbiamo già trattato di questo argomento in uno dei nostri primi articoli ma, ritenendo si tratti di una questione delicata e, purtroppo, sempre all’ordine del giorno (ancor più in questo triste periodo di pandemia), vogliamo riprenderlo per esaminare insieme altri aspetti di sicuro interesse.
Innanzitutto occorre evidenziare come alla condizione del coniuge sia stata equiparata quella di parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Tale equiparazione è stata recepita dall’INPS nel dicembre 2016, con diritto a decorrere dal 5/06/2016.
L’art. 9 comma 2 L. 01/12/1970 n. 898 stabilisce che, in caso di morte dell’ex coniuge, l’ex coniuge divorziato abbia diritto a fruire della pensione di reversibilità, in quanto sussistano le seguenti condizioni:
1) l’ex coniuge divorziato sia titolare di assegno di divorzio;
2) non sia risposato/non abbia costituito una nuova unione civile;
3) il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza che ha disposto lo scioglimento/cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell’unione civile.
Quindi, al momento della morte dell’ex coniuge (o ex parte dell’unione civile) occorre essere titolari di un assegno periodico di divorzio, riconosciuto dal Tribunale. Non può trattarsi di un assegno che, in modo bonario, gli ex coniugi abbiano eventualmente stabilito in un accordo stragiudiziale (anche se scritto).
E se al coniuge superstite era stata addebitata la separazione?
La Corte Costituzionale, con sentenza del 28/07/1987 n. 286, ha ritenuto che il coniuge separato abbia diritto a fruire della pensione di reversibilità anche se, a seguito della dichiarazione di addebito nell’ambito del giudizio di separazione, non abbia ottenuto un assegno di mantenimento. Tuttavia, proprio a seguito di questa decisione, si sono avuti due diversi orientamenti giurisprudenziali e l’INPS si è uniformata a quelle decisioni della Corte di Cassazione che prevedono che la pensione di reversibilità possa essere riconosciuta al coniuge superstite separato, solo nel caso in cui sia titolare di un assegno di mantenimento o di un assegno alimentare a carico del coniuge/parte civile deceduti.
Allo stato, quindi, di fatto, non trova applicazione quella giurisprudenza (anche se più recente) per la quale, ai fini della titolarità della pensione di reversibilità, unico fattore determinante è l’esistenza di un rapporto coniugale con il coniuge defunto.
E se al coniuge superstite è stato corrisposto un assegno una tantum?
Secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente (vedi Sezione Unite della Corte di Cassazione del 24/09/2918 n. 22434) la corresponsione di un assegno una tantum (che sia l’erogazione di una somma, anche rateizzata, o il trasferimento di un bene/diritto) preclude il riconoscimento a future domande di carattere economico, compresa – per quanto ci interessa – la pensione di reversibilità.
Ciò in quanto non vi sarebbe più il presupposto di continuazione del sostegno economico, connesso all’erogazione del trattamento pensionistico di reversibilità.
E i conviventi di fatto che diritti hanno?
Il convivente di fatto non rientra nell’ambito dei soggetti beneficiari della pensione di reversibilità. Questo, indipendentemente dal fatto che si sia trattato di una relazione stabile e duratura. Secondo la Corte Costituzionale la convivenza, liberamente revocabile in qualsiasi momento, mancherebbe di quei diritti e doveri che nascono dal matrimonio, che soli possono comportare il riconoscimento della tutela previdenziale. La convivenza (solo ove seguita dal matrimonio/unione civile) potrà avere una sua valenza, come già evidenziato nel precedente articolo, ove – alla morte del percipiente – si debba ripartire la pensione tra il coniuge divorziato e un successivo coniuge superstite.
Da quando decorre il mio diritto alla quota di reversibilità?
Il diritto alla quota di reversibilità decorre dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge pensionato.
E se mi risposo o contraggo nuova unione civile cosa succede?
In questo caso il coniuge/parte civile superstite perde il diritto al trattamento pensionistico, ricevendo tuttavia una liquidazione di un una tantum, pari a due annualità della misura della pensione spettante alla data del nuovo matrimonio, comprensive della tredicesima mensilità (ovvero il superstite, titolare di pensione, riceverà 26 mensilità in un’unica soluzione).
E se rinuncio all’eredità ho diritto a percepire la pensione del defunto?
Sì, in quanto la rinuncia all’eredità non influisce in alcun modo sul diritto alla pensione di reversibilità, che è normata da specifiche leggi previdenziali, con regole anche parzialmente incompatibili con quelle successorie (v. a proposito la decisione della Corte Costituzionale n. 268/1987).
E alla pensione di reversibilità posso invece rinunciare?
Secondo una circolare dell’Agenzia delle Entrate del settembre 1990, e come evidenziato in risposta ad uno specifico quesito posto alla stessa, la rinuncia alla pensione non è ammissibile, in quanto trattasi di prestazione a carattere alimentare, il cui diritto ha natura personale ed indisponibile.
Rimangono ancora aperte tante questioni che affronteremo in un prossimo articolo o, in Studio, per una consulenza dedicata.
Avv. Silvia Remmert
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