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La ‘Stepchild Adoption’ ovvero quando la legge insegue la vita reale

Il compito della legge è quello di disciplinare e regolare la vita dei cittadini, in tutti i suoi aspetti, da quelli atavici e basilari del neminem laedere (non arrecare danno ad alcuno) a quelli più evoluti e multiformi, come la disciplina del WEB e delle sue innumerevoli sfaccettature.

Beh, possiamo tranquillamente dire che è una battaglia persa in partenza.

Per quanto infatti il legislatore possa essere solerte ed occhiuto nell’individuare e regolamentare tempestivamente le nuove realtà che si affacciano sulla scena, la vita e il mondo corrono comunque più veloci.

Il compito di ridurre la distanza fra legge e realtà viva compete allora ai Giudici, che attraverso un’interpretazione ‘illuminata’ di norme datate possono riuscire a risolvere problemi molto più attuali.

Il caso della stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio biologico di una persona da parte del compagno, è un esempio molto significativo in tal senso.

Fin dal 1983 la legge 184 prevede (art. 44 lett. b) ) che il coniuge possa adottare il figlio dell’altro coniuge, dando così un primo espresso riconoscimento ad una realtà in grande espansione, quella delle cd. ‘famiglie allargate’.

Per diverso tempo questa norma è stata in grado di regolare efficacemente la maggior parte delle situazioni che si venivano a creare.

Ma l’evoluzione continua del costume e delle dinamiche sociali ha reso ben presto indispensabile un intervento di adattamento e di applicazione mirata da parte della Giurisprudenza.

Sono sempre meno le famiglie allargate fondate su un nuovo matrimonio. Molto più spesso la nuova coppia dà vita ad una convivenza di fatto more uxorio.

Sarebbe iniquo – e penalizzante per il minore – che il figlio biologico di uno dei due conviventi non potesse venire adottato dall’altro solo perché la coppia non è sposata.

La Giurisprudenza (Corte d’Appello di Firenze n. 1274/2012) ha così riconosciuto che in base all’art. 44 lett. d) della Legge sull’adozione (184/83) anche il convivente di fatto – non marito – della madre biologica possa adottare il figlio della compagna.

Importante riconoscimento, dunque, della famiglia di fatto come luogo degli affetti, che ha notevolmente ampliato il novero dei casi a cui è applicabile l’art. 44 L. 184/83.

Ma una vera e propria rivoluzione sul punto è giunta grazie alla sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma del 30 luglio 2014, che ha applicato l’art. 44 lett. d) anche ad una coppia omogenitoriale, ovvero in cui entrambi i componenti sono dello stesso sesso.

Con questa pronuncia, in un colpo solo i Giudici della Capitale hanno dato accesso a diversi principi basilari.

In primo luogo, hanno ribadito che l’analisi dell’interesse del minore deve essere scevra di pregiudizi di sorta e mirata soltanto a individuare – e tutelare – i confini di un luogo degli affetti in cui il bambino possa crescere in modo armonioso e sereno.

Laddove si ravvisi un significativo legame del minore con il compagno/a del genitore biologico, questo legame merita di essere sancito e tutelato anche attraverso un riconoscimento che abbia valore legale, come per l’appunto l’adozione.

Sotto un altro aspetto, ancora più pregnante, la pronuncia in oggetto ha sancito che la famiglia omogenitoriale è idonea a costituire un luogo degli affetti in cui il minore può crescere e svilupparsi adeguatamente e virtuosamente.

Del resto già la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 138/2010, aveva annoverato le coppie omosessuali tra le formazioni sociali idonee a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita del modello pluralistico, tutelate dall’art. 2 della Carta e come tali destinatarie di diritti e doveri.

A questa pronuncia di stepchild adoption all’interno di coppie omogenitoriali ne sono seguite diverse altre (tre, in rapida sequenza, dinanzi al Tribunale per i Minorenni di Torino, in procedimenti trattati dal nostro Studio) a conferma del fatto che la pronuncia del TM di Roma non è stata un’estemporanea ‘fuga in avanti’ dei giudici capitolini, ma piuttosto il punto di approdo di una sensibilità crescente e ormai acquisita.

A riprova, pochi mesi dopo la Corte di Cassazione (sentenza 9 febbraio 2015) ha ribadito una volta di più che “l’unione omoaffettiva riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2”, tanto da meritare “un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione dei diritti fondamentali”.

Ancora una volta è la giurisprudenza ad essersi fatta carico di interpretare in modo ‘evolutivo’ le norme in vigore, anche se palesemente datate ed a suo tempo create per regolare situazioni diverse da quelle a cui oggi vengono applicate.

L’antica arte del sarto, o delle mamme più virtuose, capaci di adattare una vecchia marsina alle nuove esigenze, in attesa di poterne acquistare una nuova.

E’ probabile che nel giro di qualche anno anche il legislatore riesca a dare forma e regole compiute e duttili alla disciplina della stepchild adoption, ma l’opera anticipatrice della giurisprudenza è sicuramente preziosa e meritevole, nell’interesse primario di bambini che possono vedere sin d’ora riconosciuto e rinsaldato il loro legame affettivo con il compagno/a del loro genitore biologico.

Come è facile comprendere, si tratta di una materia ancora molto fluida, in cui vi sono spazi di riflessione e di studio delle soluzioni più idonee per dare tutela alle multiformi fattispecie che si possono di volta in volta presentare.

Il nostro studio è a disposizione per ogni opportuno approfondimento.

Avv. Fabio Deorsola

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