La proposta di legge Morani, approvata dalla Camera il 14 maggio 2019 e in attesa di essere votata al Senato – è stata pensata per venire incontro agli ex coniugi (spesso ex mariti) i quali in talune occasioni vengono costretti a corrispondere un assegno divorzile a favore della ex moglie, nonostante magari il matrimonio sia terminato da molto tempo.
Nei Tribunali italiani, nel corso del tempo, si sono consolidati diversi orientamenti giurisprudenziali e criteri in base ai quali definire se l’ex coniuge potesse godere o meno di un assegno divorzile.
Una consolidata giurisprudenza, risalente agli anni ’90, infatti, interpretava la normativa sull’assegno divorzile considerando come criterio per determinare l’assegno stesso l’assenza di un reddito sufficiente a mantenere il tenore di vita di cui l’ex coniuge godeva in costanza di matrimonio.
Ad esempio, se l’ex moglie faceva la casalinga e grazie al lavoro del marito la coppia conduceva uno stile di vita lussuoso, il marito avrebbe dovuto corrisponderle un assegno per garantirle di mantenere quel medesimo stile di vita, se la moglie non era in grado di mantenerlo o non aveva mezzi economici adeguati a mantenerlo.
Sulla base di quest’ultimo orientamento, spesso ci si trovava di fronte ad una situazione nella quale il coniuge “debole” godeva di una sorta di assegno “a vita” a carico del coniuge “forte”.
Di recente, però, si è avuto un cambio di rotta: una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 11504 del 10 maggio 2017) ha stabilito, contrapponendosi a quanto affermato dai giudici negli ultimi 27 anni, che l’assegno divorzile può essere concesso solamente all’ex coniuge che non abbia l’autosufficienza economica e che, quindi, non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
La Corte di Cassazione ha stabilito che visto che il divorzio pone definitivamente fine al vincolo coniugale e quindi, in considerazione del principio di autoresponsabilità economica, l’assegno divorzile non può essere parametrato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Qualora l’assegno sia dovuto, inoltre, esso dovrà “essere contenuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo”, vale a dire quello di consentire all’ex coniuge di condurre un’esistenza “libera e dignitosa” (ai sensi del principio enunciato nell’art. 36 della nostra Costituzione) “senza provocare illegittime locupletazioni” (Cass. n. 11538/2017); in altre parole, senza provocare ingiustificati arricchimenti, ovvero senza che l’assegno diventi una fonte di guadagno per un coniuge e un peso non sostenibile per l’altro.
Sono, successivamente, intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la pronuncia n. 18287 del 2018, dopo aver evidenziato le criticità di entrambi i sopracitati orientamenti, hanno fornito “nuovi” presupposti per determinare l’assegno (si veda l’articolo Assegno divorzile: recente pronuncia della Cassazione. Cosa è cambiato?).
L’assegno divorzile, in sostanza, non viene più considerato un mezzo per consentire all’ex coniuge il ripristino del tenore di vita precedente, e neppure uno strumento meramente assistenziale per assicurare al coniuge privo di mezzi un’esistenza “libera e dignitosa” bensì, in virtù della sua funzione perequativo-compensativa, diventa un mezzo per dare al coniuge un concreto riconoscimento del suo contributo alla realizzazione della situazione familiare in quel momento, ovvero ricevere quanto “ha dato” durante il matrimonio.
In altre parole, si fa un bilanciamento dei sacrifici di entrambi i coniugi in favore della famiglia e si valuta se uno dei due coniugi, in assenza di mezzi economici adeguati, abbia diritto o meno all’assegno.
La proposta di legge Morani punta a riscrivere i criteri stabiliti dall’attuale art. 5 della Legge n. 898/70 alla luce del principio generale in funzione del quale il Giudice può disporre l’attribuzione di un assegno a favore dell’ex coniuge purché sia destinato ad equilibrare, per quanto possibile, la disparità che il divorzio crea nelle vite dei coniugi.
In altre parole, l’assegno di divorzio avrebbe lo scopo di equilibrare, appunto, il reddito degli ex coniugi, non ricostruendo il tenore di vita precedente, come avveniva in passato, bensì tenendo conto del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole nella formazione del patrimonio – morale e materiale – della famiglia.
Pertanto, ai fini della determinazione dell’assegno e della conseguente quantificazione dell’importo, dovranno essere valutati dal giudice:
- la durata del matrimonio
- le condizioni personali ed economiche nelle quali i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, ossia dopo il divorzio
- l’età e lo stato di salute del soggetto richiedente l’assegno
- il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune
- il patrimonio ed il reddito netto di entrambi
- la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale
- l’impegno dedicato alla cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti.
Rispetto al passato quindi il giudice, nel quantificare l’importo dell’assegno, dovrebbe considerare, oltre ai parametri già noti – come, ad esempio, il contributo fornito da ciascun coniuge durante il matrimonio – anche la situazione in cui i coniugi si troveranno al momento del divorzio: età, reddito, patrimonio, formazione professionale, possibilità di trovarsi un’occupazione, tempo da dedicare ai figli, ecc.
Di conseguenza, si nota come la valutazione della situazione economica dei coniugi non sia più circoscritta al solo reddito, ma sia estesa anche al patrimonio degli stessi.
Inoltre, in base all’esigenza di contenere nel tempo la durata dell’aiuto economico al coniuge “debole”, la proposta di legge introduce una limitazione temporale del versamento dell’assegno, nel caso in cui una corresponsione a tempo indeterminato risulti ingiustificata, anche in considerazione della durata del matrimonio.
Nel momento, infatti, in cui l’ex coniuge ha la possibilità di prevedere di godere di un’altra entrata, come per esempio la pensione o un lavoro, non si comprende – questa la tesi della deputata Morani – perché debba continuare a ricevere l’assegno.
In altre parole, si prevede che il Tribunale possa predeterminare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del soggetto che richiede l’assegno sia dovuta a ragioni transitorie o comunque superabili.
Un’ultima novità contenuta nella proposta riguarda la cessazione dell’obbligo di corresponsione, da parte dell’ex coniuge, dell’assegno di divorzio non solo nel caso di nuove nozze – com’era già previsto – ma anche nell’ipotesi di unione civile oppure di convivenza stabile con un’altra persona (ex art. 1, comma 36, L. n. 76/2016).
In conclusione, riassumendo, due sono le finalità precipue della proposta di legge in oggetto: si prefigge di “fissare precise linee normative rispondenti all’esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento per il coniuge richiedente l’assegno e, dall’altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia e rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa”.
Ad oggi, la proposta di legge, è all’esame del Senato e non è quindi in vigore: restiamo in attesa di conoscere se e quando diventerà legge.
Avv. Mirta Cuniberto
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